Uscire di casa ed entrare
in un cono d’ombra, un buco nero da cui si poteva essere inghiottiti,
rendendosi irreperibili al mondo, a meno che non si avesse la ventura di
incontrare una cabina telefonica per chiamare qualcuno.
Neonati che imparano a
toccare lo schermo prima ancora di saper afferrare un oggetto.
Bambini che passano ore a
chattare.
Adolescenti che terranno
il cellulare in mano anche durante il primo rapporto sessuale.
No, noi eravamo di un’altra
generazione. Più scomoda, forse. Ma a me, ad esempio, le cabine telefoniche
piacevano un botto.
Cominciamo dallo
strumento necessario per usarle: il gettone.
Quando ero bambino io, i
gettoni valevano 50 lire e circolavano come se fossero denaro corrente, tutti i
negozianti li accettavano esattamente come moneta, o li davano per resto. Ma
quando avevo 10 o 11 anni, il valore fu portato di colpo a 100. Immaginate un
bambino che ha un suo gruzzoletto in gettoni e se lo vede d’improvviso
duplicare di valore. Nessun investimento in borsa o BOT, titoli o buoni, bond o
JamesBond … nulla avrebbe potuto, può e potrà mai garantire un raddoppio secco
del capitale dalla sera alla mattina. Ricordo bene quel momento, ma non avevo,
ahimè, così tanti gettoni da potermi permettere qualche fumetto speciale. È probabile
che qualche mio coetaneo, più addentro alle vicende finanziarie del paese, si
fosse preparato per tempo.
C’era anche un altro modo
per guadagnar soldini attraverso i gettoni telefonici; si trattava di entrare
in ogni cabina e premere l’apposito pulsante attraverso il quale si otteneva la
restituzione dei gettoni. C’era sempre qualcuno che dimenticava, a chiamata
finita, di compiere l’operazione; così, se si aveva la faccia tosta di entrare
nella cabina, sotto gli occhi dei passanti, solo per premere il pulsantino, il
telefono poteva sputare fuori qualche prezioso gettone dimenticato.
Una volta ricordo che il
telefono impazzì letteralmente; come una slot machine troppo generosa, lasciò
cadere una cascata di gettoni sonanti; credo di aver tirato su quel giorno, se
la memoria non mi inganna, almeno 600 lire.
Parlando di fumetti, è
ovvio che non potevo guardare una cabina telefonica senza pensare ai tanti supereroi
che ne avevano bisogno per cambiarsi d’abito.
Per Superman, che però da bambino leggevo ben poco, era una tradizione
consolidata; non avendo sottomano gli albi della mia collezione, mi aiuto un po’
con google.
Il primo supereroe della
storia usava le cabine telefoniche con tale velocità da entrarne come il mite
giornalista Clark Kent, ed uscirne con costume e mantello; cosa facessero i
suoi vestiti, non è dato saperlo.
La scena di Superman che
si cambia nella cabina è così iconica, da aver dato luogo anche a varie
parodie; eccone due.
La cabina telefonica
consentiva di separarsi dal mondo; e gli autori di fumetti ne approfittavano
per usarla come scenario fantastico; ecco un esempio tratto da Paperino.
Solo da adulto qualcuno
mi spiegò che il Dottor Who,
personaggio di poco successo da noi, viaggiava nello spaziotempo attraverso una
cabina telefonica.
Crescendo ho molto usato
le cabine per fare, dalla strada, telefonate romantiche alle ragazze che mi
vergognavo di fare da casa; avevo il telefono in camera, ma mia mamma poteva
entrare in qualsiasi momento con la scusa di posare un paio di mutande nel
cassetto; e poi fermarsi ad ascoltare. E se si trattava di telefonate
interurbane, al momento dell’arrivo della bolletta, poteva arrivare un
interrogatorio di terzo grado. Decisamente meglio investire i gettoni (da
ultimo, andavano bene anche normali monete).
Mi è mancata la
possibilità di vivere una esperienza come quella mostrata in questa immagine,
inviatami da una persona cara; ma, come si sa, non si può avere tutto nella vita.
Ora che le città sono, in
un certo senso, una intera, immensa cabina telefonica, con gente che cammina e
parla da sola, che futuro attende le vecchie strutture?
Alcune sono state
trasformate in postazioni per book crossing, altre in fioriere. Altre affondano
nel degrado.
Altre, chissà, sono
pronte a partire nello Spazio.












